Chi ha vinto le amministrative (analisi di soli numeri, astenersi perditempo).

C’è chi parla di centrosinistra avanti in 16 capoluoghi e chi parla di flop del Movimento 5 Stelle. C’è anche chi parla di un Partito Democratico che, a Roma, è dimezzato. Pochi, forse nessuno, ha notato l’inesistenza di Scelta Civica e Montiani che, a livello locale, praticamente non si presentano da nessuna parte.

Alle numerose analisi che i più dotto editorialisti ci stanno proponendo in queste ore, dalle quali deducono la bocciatura dell’elettorato grillino all’operato dei loro portavoce in Parlamento, aggiungo la mia, preceduta da una considerazione: il voto alle amministrative è profondamente diverse rispetto al voto alle elezioni politiche e, per certi versi, più simile al voto alle elezioni regionali. Si vota il candidato, la scelta è secca, le conseguenze della mia scelta hanno ricadute molto prossime, sia fisicamente che politicamente. Alle elezioni amministrative, quello che viene chiamato  “voto di protesta” è fisiologicamente smorzato da questi fattori. Lo abbiamo visto benissimo in Lombardia, dove il 24 e 25 febbraio Silvana Carcano – candidata presidente del M5S – ha ottenuto 782mila voti, contro oltre 1.100mila ottenuti dal M5S, in Lombardia, alle Politiche.

A tutto ciò dobbiamo aggiungere un altro elemento: l’astensione. Rispetto al 24 e 25 febbraio è aumentata di diversi punti percentuali.

Muovendo da qui, ho considerato e paragonato i risultati delle regionali a Roma e a Brescia con quelli delle amministrative di questi giorni. I votanti sono diminuiti rispettivamente di 383mila unità (-23,5%) e di 20mila unità (-17,8%).

Guardando i voti espressi a Brescia e a Roma e paragonandoli con il voto delle regionali otteniamo:

VOTANTI CSX CDX M5S PD
Brescia -20089 -15080 -8300 -5405 -8404
Roma -383065 -202628 -27837 -167258 -158629

In termini percentuali otteniamo:

VOTANTI CSX CDX M5S PD
Brescia -17,8 -30,5 -19,5 -45,1 -28,3
Roma -23,5 -28,3 -7,1 -52,8 -37,2

Quel che è interessante notare è che tutti i principali schieramenti perdono voti, discostandosi in maniera quantitativamente differente rispetto all’astensione. Da notare che gli unici risultati “confortanti” sono quelli del centrodestra, che a Brescia registra un calo di voti in linea con l’astensione e a Roma è riuscito a neutralizzare l’astensione e ad andare in positivo.

Per misurare quanto si discostano dall’astensione ho semplicemente “spalmato” l’astensione registrata alle comunali sul voto delle regionali, e ho guardato quanto si discosta il risultato reale da questo risultato teorico al netto dell’astensione (spalmata grossolanamente su tutti gli schieramenti, ma diffidate anche di chi politicizza l’astensione).

Di seguito i risultati, in termini di voti assoluti e percentuali:

Scostamento dal risultato teorico al netto dell’astensione (assoluto).
CSX CDX M5S PD
Brescia -6277,4 -713,1 -3270,2 -3124,9
Roma -34521,2 64323,9 -92781,1 -58464,0

Scostamento dal risultato teorico al netto dell’astensione (percentuale).
CSX CDX M5S PD
Brescia -15,4 -2,0 -33,2 -12,8
Roma -6,3 21,4 -38,3 -17,9

A Roma, praticamente, ha vinto il centrodestra. E a Brescia ci è andato molto vicino.

Il calcolo è puramente matematico e ho esplicitato le condizioni di partenza, così come ho esplicitato che “spalmare” l’astensione può non essere politicamente corretto. Però, appunto, le considerazioni politiche le lascio ad altri.

Il voto per province al M5S

Nella mappa qui sotto trovate i risultati elettori del M5S alle recenti politiche, per ogni provincia italiana.

M5S_provincePossono essere fatte diverse osservazioni sulla distribuzione dei colori. A me ne sono venute in mente alcune:

  • Il voto al M5S può essere scomposto in zone omogenee, di dimensioni pressocché regionali. Riscontriamo, ad esempio, risultati eccellenti in Sicilia, nelle Marche e in Liguria. Risultati ottimi in Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Abruzzo, Molise e Lazio. Risultati mediocri in due regioni che nell’immaginario collettivo sono spesso percepite come molto distanti, ma che votano in maniera simile per il M5S: Lombardia e Campania.
  • Non esiste la «macroregione» nè, tantomento, la «macroregione a 5 Stelle». Il Nord non è un’entità omogenea e, anzi, il voto al M5S sembra superare la dicotomia tra il cosiddetto «piccolo nord», il nord-est, e il «grande nord», il nord-ovest, mostrando percentuali elettorali simili proprio in questi due territori. Percentuali che gradualmente calano quando si supera il confine lombardo, dove i risultati del M5S sono inferiori rispetto al resto d’Italia.
  • In Sicilia la sfumatura dei colori ha una componente quasi artistica. Da Messina il consenso dilaga verso sud-ovest.
  • La provincia di Bolzano è l’unica provincia in cui il M5S è (notevolmente) sotto al 15%.
  • La provincia di Parma, dove il capoluogo è amministrato dal M5S, è un’isola arancione nel mare giallo dell’Emilia Romagna. Al contrario, la provincia di Firenze è verde, diversamente dai territori circostanti.
  • Il M5S ottiene risultati apprezzabili sia in regioni tradizionalmente rosse che tradizionalmente bianche. E’ possibile che ciò sia dovuto alla capacità di «unire radicalità inconciliabili», (abolire i sindacati e istituire un reddito di cittadinanza, ad esempio) come scrive Dino Amenduni?

Cosa succede in Lombardia

«Mangiamo pane e primarie», scrivono Cavalli e Civati, per ribadire una posizione semplice semplice, che dovrebbe essere la posizione di partenza del centrosinistra in versione arancione: le primarie, soprattutto quando la sfida è complessa, quando c’è bisogno di tenere insieme un elettorato frammentato – e quello della Lombardia è già in partenza spezzato in due, dalla dicotomia città/province -, fanno bene a chi le vince. Anche ad Umberto Ambrosoli, che in questi giorni, dopo diversi tentennamenti, ha sciolto la riserva ponendo, però, il veto sulle primarie. Una forzatura che pare costruita assieme al sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, chiaramente indirizzata verso la costruzione di una coalizione molto distante dai partiti – distantissima da Sel e Idv -, e che guarda all’elettorato moderato, che tradotto in Italiano significa «Udc». Le primarie del centrosinistra sono certamente un ostacolo alla costruzione di tale progetto, centrista e «cittadino» – non nel senso di «costruito dai cittadini» ma nel senso di «rivolto all’elettorato delle città», non a quello delle valli, quasi che la Lombardia fosse una Milano allargata.

Ma c’è di più. Il progetto di Ambrosoli è perfettamente identico a quello di Gabriele Albertini, che da tempo ripete «non sarò il candidato del PdL», pur avendone la tessera in tasca. Albertini «chiama a raccolta i moderati», scrive Il Corriere, nella speranza di costruire il PPE italiano, con UdcMontezemolo e Giannino, in una bella lista che poi chiameremo «civica».

L’unica differenza tra Albertini e Ambrosoli è che uno gioca da mezzala destra, l’altro da mezzala sinistra, ma tutti e due cercano palla nella zona centrale del campo. Il risultato è giocare la partita in un fazzoletto di terreno e pestarsi di continuo i piedi.

Quindi, chi vince? C’è un vincitore annunciato, e cioè il Movimento 5 Stelle, che se in Sicilia ha fatto un ottimo risultato, in Lombardia può fare quel famoso «boom», arrivando a percentuali non troppo distanti dal 25%. E c’è un altro vincitore. Vincitore vero: Roberto Maroni. Domani la Lega deciderà, e deciderà di giocarsi l’all-in, di giocarsi tutte le carte in Lombardia. Perché il candidato è forte, piace ai militanti, ma piace anche oltre lo zoccolo duro della Lega, a quell’elettorato che periodicamente si è contratto ed espanso, facendo oscillare, negli ultimi venti anni, il Carroccio tra il 4% e risultati in doppia cifra su scala nazionale. Perché si è ritagliato il profilo del «miglior ministro dell’Interno degli ultimi 150 anni», facendo della lotta alla criminalità organizzata una bandiera. E perché se lo schema è quello centrista e milanese, si aprono praterie sulle fasce e nelle province. 

Parentesi conclusiva: qualcuno può spiegare le motivazioni di Pisapia? Grazie.

La lunga notte dell’Italia 2050

Federico Mello, su Pubblico, racconta l’incredibile storia della prima candidatura al Parlamento di un esponente del Movimento 5 Stelle. Per vedere con i miei occhi, sono andato a cercare la pagina Facebook a sostegno della candidatura, sulla quale sono presenti diversi link a pagine di beppegrillo.it nelle quali Marino Mastrangeli – è questo il nome del candidato – esprime alcune idee che, verosimilmente, faranno parte del suo programma elettorale. Tra queste idee ce n’è una per contrastare «l’invasione di disperati» causata dall’aumento di popolazione in Africa. Orizzonte temporale: 2050. L’idea è stanziare dei fondi UE e ONU per «donare istruzione e informatizzazione a tutte le persone povere residenti nelle aree sovrappopolate del Mondo», un’idea – diciamo – non proprio molto originale e neppure troppo – diciamo – approfondita e concreta. Ma quel che più colpisce sono le parole, perché bisogna contrastare «l’invasione di disperati» («invasione», dove l’ho già sentita?),

Altrimenti gli scenari (anche in Italia) potrebbero essere apocalittici, tra cui il vertiginoso aumento delle epidemie (AIDS, malaria, tubercolosi,etc.), dei prezzi delle materie prime, della criminalità, del terrorismo, della prostituzione, dello sfruttamento dei lavoratori, del degrado ambientale, etc.

Un’Italia del 2050 con epidemie dilaganti che serpeggiano nei bassifondi delle città, e malati relegati ai margini, delle città. Criminalità in ogni angolo buio delle strade di periferia, cellule terroristiche che si annidano in tutti gli scantinati, prostituzione, violenza, fumi che si levano dai tombini, sirene che risuonano lontane e l’immancabile monorotaia posizionata a 50 metri di altezza, che sferraglia nella notte, rendendo impossibile il sonno dei bambini. Una lunga notte.

Tutto ciò causato dall’aumento di popolazione in Africa, popolazione che si riverserà sulle coste italiane, nel 2050. Davvero, la descrizione di scenari simili l’ho già sentita da qualche parte, ma non ricordo dove.

I «ceti produttivi» traino del consenso al M5S

Il Movimento 5 Stelle fa il «boom», tra i ceti produttivi. Ciò è quanto emerge da un’interessante indagine condotta da IPSOS per CNA, dove per «ceti produttivi» si intendono «imprenditori, artigiani, dirigenti e liberi professionisti» (non ho capito perché gli operai, per dire, non sono «produttivi»).

Un primo dato, riguardante la fiducia nelle possibili coalizioni di governo, con il centrosinistra in versione «foto di Vasto», conferma la difficoltà del centrosinistra nel rappresentare questo tipo di elettorato. Le stesse difficoltà sembra soffrirle il centro, mentre lo «spread» tra fiducia dei cittadini e fiducia dei ceti produttivi è decisamente positiva – 6 punti di differenza – per il Movimento 5 Stelle:

Per quanto riguarda le intenzioni di voto, lo «spread» si riduce, ma mantiene lo stesso segno, per PD e M5S.

Interessante notare, invece, come lo «spread» della coalizione centrista si annulli e come lo «spread» della Lega Nord sia negativo: la quota di cittadini che voterebbe Lega Nord è maggiore rispetto alla quota di cittadini appartenenti al ceto produttivo che la voterebbe.

Infine, adottando una prospettiva temporale per l’analisi del dato riguardante il M5S, si può notare come i ceti produttivi funzionino in un certo senso da «traino» per il consenso del partito di Beppe Grillo: lo «spread» è sempre positivo, con degli «strappi» che col tempo sembrano colmarsi:

 

 

Meglio i partiti, quelli veri

«Il solito posto» è il nome del bar di Diletta Botta, a Genova, consigliere di circoscrizione del Movimento 5 Stelle, da due mesi, eletta con una cinquantina di preferenze. Tutto normale, semplice, trasparente, pulito. Fino a qualche giorno fa, quando Diletta è stata arrestata per spaccio di droga (hascisc, mariujana, cocaina e anfetamine) che avveniva nel suo bar.

A rendere pubblico l’accaduto è stato il MeetUp di Genova, per bocca del candidato sindaco Paolo Putti, il quale ha specificato, a discolpa del «movimento»:

Come tutti i cittadini che hanno concorso alle elezioni per le nostre liste, Diletta Botta aveva presentato un Certificato Penale immacolato e aveva partecipato al nostro MeetUp.

Come se un certificato penale immacolato sia condizione necessaria e sufficiente – insieme all’aver partecipato al MeetUp, che evidentemente è davvero la condizione minima, per qualsiasi gruppo politico – per poter essere candidati. Le cose sono più complesse, e per gestirle ci vogliono organismi più complessi. Viva i partiti, quindi. Quelli veri.

Ma quali maghi del web…

(Viaggio digitale nell’universo a 5 stelle)

Il MoVimento 5 Stelle è sicuramente l’argomento del momento e ci sono buone ragioni perché lo sia. Non sto ad analizzare i contenuti della loro proposta politica, per certi versi rivoluzionaria e condivisibile. Voglio invece affrontare il core business del loro sistema di comunicazione, cioè il web e come lo usano. È infatti opinione comune che il M5S utilizzi la rete al massimo della sua potenzialità, anzi, sovrappone di fatto il sistema con le persone che lo utilizzano. Uno dei libri di Grillo Davide Casaleggio, pubblicizzato ampiamente sul suo blog, si intitola infatti “Tu sei Rete”: gli attivisti stessi sono (dovrebbero) quindi essere gli strumenti di comunicazione del movimento, che avviene (avverrebbe) su Internet. Chiedo scusa per i condizionali tra parentesi, ma è per rimarcare la differenza tra la teoria e la realtà. La strategia però è chiara, ma è soprattutto rivoluzionaria e anticipatrice, perché in futuro funzionerà così per tutti.

Breve storia del M5S, così ci chiariamo un po’ le idee. Tutto nasce da una serie di eventi spontanei che porta alla nascita del movimento Amici di Beppe Grillo, che nel 2005, su invito dello stesso Grillo, si organizzano su scala territoriale utilizzando il social network americano MeetUp per tenersi in contatto tra loro e organizzare eventi. I vari gruppi territoriali prendono appunto il nome di MeetUp e saranno l’incubatore, di lì a qualche anno, del MoVimento 5 Stelle (la V maiuscola sta per Vaffanculo). Il nome non è farina del sacco di Grillo, ma dell’Associazione dei Comuni Virtuosi, che ogni anno assegna il premio nazionale “Comuni a 5 stelle” a quelle amministrazioni che si sono particolarmente distinte nella diffusione di nuove consapevolezze e stili di vita all’insegna della sostenibilità, sperimentando buone pratiche attraverso l’attuazione di progetti concreti, ed economicamente vantaggiosi, legati alla gestione del territorio, all’efficienza e al risparmio energetico, a nuovi stili di vita e alla partecipazione attiva dei cittadini (dallo Statuto dell’Associazione dei Comuni Virtuosi). Insomma, Grillo preleva un programma politico già fatto e lo trasporta nel M5S, poi elabora e deposita il marchio che da quel momento appartiene a lui. Attenzione, appartiene a lui e basta, non al movimento, questo vuol dire che tutti quelli che vogliono organizzare una lista civica ispirata ai principi del M5S devono avere la sua personale approvazione. È la base di un sistema politico verticistico senza paragoni in Italia e forse nel mondo, in cui è stimolata la partecipazione diretta dei cittadini per quanto riguarda la gestione territoriale locale, ma in cui le decisioni relative all’organizzazione interna del movimento vengono prese da una sola persona. Beh, diciamo due. Grillo e Casaleggio, il consulente aziendale e mago del web che da anni fa coppia fissa con Beppe Grillo, che gli organizza il blog e che ha avuto l’idea dei MeetUp e dello stesso M5S. Ci sarebbe qualcosina da dire sulle relazioni di Casaleggio con la grande industria delle multinazionali, ma per il momento lasciamo perdere. Torniamo invece a beppegrillo.com, il sito da cui è partito tutto, una vera corazzata e l’unico sito che può competere con i migliori blog (e non solo) internazionali per numero di accessi. Indubbiamente vengono trattati argomenti molto sentiti e questo non può che essere un suo merito. Il sito di Grillo, tra le altre cose, è anche l’organizzatore del movimento, ma soprattutto l’unico vero punto di riferimento dei suoi attivisti e dei suoi simpatizzanti. Il sistema quindi è verticistico e anche fortemente centralizzato, checché se ne dica.

Gran parte dei MeetUp aveva a suo tempo aperto i propri siti, che dall’ottobre 2009 in poi, con la nascita ufficiale del movimento, sono diventati i siti locali del M5S. Non tutti però, alcuni sono rimasti fermi al concetto di MeetUp, a volte per scelta, altri invece sono in paziente attesa dell’imprimatur concesso da sua santità Beppe Grillo, che prima di concederlo vuole essere sicuro che sia tutto in regola. Sto esagerando? A suo tempo venne fondato il MeetUp 533, che esiste ancora. Si tratta di un MeetUp riservato ai soli responsabili (chiamati organizer) dei MeetUp locali e che ha il compito di organizzarne le attività, possibilmente aiutandosi a vicenda. Non si sa bene quanto funzioni perché non è una cosa granché trasparente, anzi, all’inizio non era nemmeno accessibile. Comunque, giusto per rendere l’idea, il MeetUp 533 si era a un certo punto posto il problema di elaborare un regolamento generale dei MeetUp. Tra le varie proposte c’era anche quella di inserire l’articolo: solo chi giura fedeltà a Beppe può iscriversi al MeetUp. Solo chi giura fedeltà. La cosa non ha avuto seguito, i MeetUp locali rimangono delle isole autogestite con molte luci e qualche ombra, ma la vicenda è comunque inquietante. Di quali ombre sto parlando? Lascio la parola a Nicoletta Selis, a lungo organizer grillina: Io faccio parte di uno di questi MeetUp Amici di Beppe Grillo. Avendo fatto attività politica in un piccolo partito e credendo moltissimo nell’ambientalismo, nella giustizia e nella legalità ho pensato fosse un modo per riavvicinarmi alla politica nell’ottica del movimento. La cosa strana però è che per far parte di un MeetUp di Grillo bisogna pagare una quota mensile. A pensarci, anche in un partito o in un’associazione si paga una tessera. Ma qui è una quota mensile, neanche piccola. In nome degli ideali grilleschi in cui ci identifichiamo, l’abbiamo sopportato, ma è stato l’inizio di una serie di elementi che nel tempo sono emersi e ci fanno essere sempre più critici nei confronti del nostro amico Grillo. Nei MeetUp si iscrivono tantissime persone e dietro un nick name rigorosamente protetto puoi scrivere valanghe di post e non fare alcuna attività concreta. È il bello di internet che impegna ore del tuo tempo a scrivere per animare un gruppo dove il tasso di attivisti è bassissimo, e in alcuni casi inesistente. Lo sport preferito sembra essere quello di litigare e parlar male degli altri, e per decidere dove e quando incontrarsi si impiegano decine di post. Nei MeetUp non esistono regole di democrazia interna, ha ragione chi paga, perché pagando si diventa Organizer, ossia responsabile del gruppo. Poco importa se gli altri non sono d’accordo e se non vieni eletto. Da quel momento puoi decidere tutto, cancellare membri, e post indesiderati. [Fonte]

I siti locali del movimento servono quindi a organizzare gli attivisti, ma non servono come riferimento per i simpatizzanti. Volete una prova? Il 3 luglio ho fatto una “fotografia” della presenza sul web del M5S e ho scoperto, con mia sorpresa, l’arretratezza del movimento su questo tema. Esiste un sito nazionale (che dipende, come anche tutti quelli locali, dal sito di Beppe Grillo) che ospita un forum di discussioni e poco altro. Poi ci sono i siti regionali. Più o meno. Liguria, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche, Lazio, Puglia, Sicilia e Sardegna non hanno un sito regionale. La Calabria è ferma al MeetUp regionale. In quello della Toscana non è postato niente (c’è un video del 2011), mentre quello della Valle d’Aosta è aggiornato al dicembre del 2010. Negli altri la frequenza degli aggiornamenti e dei nuovi post è settimanale o peggio, in pochi casi (Emilia Romagna, Abruzzo, Molise e Campania) la frequenza è più serrata. Il sito della Lombardia invece lavora “a progetto”. Al momento insistono sulle dimissioni di Formigoni, da buoni ultimi rispetto a tutte le altre forze politiche di opposizione. Non ho proseguito per andare a vedere i siti provinciali ma mi riprometto di farlo.

Su Facebook le cose non vanno tanto meglio. Ci sono alcune pagine dedicate alle organizzazioni regionali, che hanno dai 28 like del Veneto ai 1689 della Lombardia, e alcuni gruppi che vanno dagli 11 iscritti della Campania agli 822 delle Marche. La pagina nazionale conta invece 25245 like. Sono, complessivamente, numeri ridicoli, e lo sono ancora di più se pensiamo che il movimento ha sfiorato il 20% dei consensi su scala nazionale, che equivale a milioni di persone che voterebbero M5S alle prossime elezioni. Dove si trovano quindi queste persone? Di certo non sul web, dove invece, secondo quello che ci dicono, avremmo dovuti trovarli. Ai vari forum, sia nazionali che locali, partecipano invece più o meno le stesse persone, che di fatto si parlano tra di loro e si dicono le stesse cose. Non vale dire che gli attivisti sono pochi ma quello che conta sono i simpatizzanti/elettori, perché uno dei punti fermi del movimento, una delle 5 stelle, è proprio la democrazia partecipativa, concetto che a me piace da impazzire. Senza partecipazione il movimento cessa di essere quello che vuole essere e diventa un partito come tutti gli altri, fallendo quindi nel suo intento.

Ma torniamo al web perché voglio concludere con una chicca, regalata ancora dal MeetUp 533. Un ragazzo chiede il motivo per cui il suo sito non aveva ancora avuto la certificazione e Carlo Cardarelli, uno dei responsabili, il 6 maggio 2012 risponde così: La cosa credo dipenda esclusivamente da “Casaleggio & Associati” che cura il sito di Beppe. Comunque, prova ad inviare la richiesta tramite posta ordinaria a Beppe Grillo – Casella Postale 1757, 20121 Milano.

Posta ordinaria! Non ci posso credere. Sarebbero questi i maghi del web?

Mira, radicamento o personalizzazione?

di Alberto Savio 

Il movimento 5 stelle porta a casa Parma, Mira, Comacchio, piazze importanti. Colpisce in particolare Mira*, storica roccaforte della sinistra. Scorrono fiumi di inchiostro per capirne le ragioni: il movimento 5 stelle incarna il nuovo, i giovani in politica, facce nuove, volti genuini, non compromessi col potere ecc. ecc. Volti vincenti, ma senza nome, che scalzano volti perdenti, con nomi importanti. Prendiamo appunto il caso Mira e proviamo a fare qualche ipotesi.

Il Pd a Mira ha conservato un peso politico forte, il dna di quell’elettorato è sempre stato di sinistra. Al primo turno Carpinetti (sostenuto da tutto il csx da Casini a Rifondazione) porta a casa 7848 voti (43.03%) mentre il giovane Maniero (5stelle) 3169 (17.37%).

La lista che ha più voti è ovviamente il PD: 4381 pari al 28.39%, dei quali addirittura 2661 con preferenza per il consiglio comunale. I voti con preferenza sono il 61%, una quota elevatissima che a una prima benevola lettura potrebbe significare il forte radicamento del partito nel territorio e la grandissima popolarità dei candidati consiglieri. Forse, al contrario, testimonia più un lavoro orientato scientificamente alle preferenze personali da parte dei candidati. Un lavoro di propaganda personale (o di corrente) che probabilmente ha offuscato la propaganda di lista, di partito, di candidatura a sindaco. Che percezione ne avranno avuto i cittadini? Di sicuro non la percezione di un gruppo cementato da un forte spirito di squadra e con chiari obiettivi comuni.

Per contro la lista 5 stelle a supporto di Maniero prende 2703 voti pari al 17.51% con 247 preferenze: meno del 10%, ben due candidati del PD superano da soli il totale…

L’affluenza al primo turno è di 19228 votanti su un totale aventi diritto di 31397 (61.24%). Al secondo turno, il clamoroso capovolgimento del risultato: l’affluenza cala al 50.5% (votano in 15854), Carpinetti prende 7334 voti (47.51%), Alvise Maniero prende 8102 (52.49%).

Si parla molto di “personalizzazione”, come fenomeno che sta trasformando profondamente l’offerta politica, a qualsiasi livello. Ma la sta migliorando? La rende più attrattiva? Questo esito elettorale dimostra forse che la “guerra delle preferenze”, alla quale si assiste in molte realtà locali, porta a risultati individuali importanti ma comunica agli elettori uno scarso senso di appartenenza e di coesione.

Il 5 stelle è stato capace invece di comunicare una grande passione e un’adesione convinta ai principi e ai programmi del movimento, che mette in secondo piano le singole candidature: non hanno neppure i classici “santini”, si presentano come squadra e non come somma di singoli candidati che fanno lavoro per se’ e per garantirsi un posto al sole in amministrazione. Forse è così perché il movimento è in fase nascente e poi certe dinamiche saranno inevitabili quando crescerà? Vedremo, può essere, ma intanto è il caso di rifletterci.

*Mira è un comune di 39.000 abitanti, situato in provincia di Venezia, a cavallo del corridoio Padova – Venezia. Rientra nell’area metropolitana di Venezia (ndr).

E’ ancora tutto in divenire

Perché forse, come in Francia, stiamo aspettando le 20. Di conseguenza, questo post verrà aggiornato. Qualche considerazione, però, possiamo cominciare a farla.

Il PdL è scomparso.

E anche la Lega Nord non se la passa troppo bene. Perché c’è Verona, con Tosi tra il 55% e il 60%, ma con circa il 40% dei voti raccolti dalla lista civica “Per Verona”, mentre la Lega non arriva al 10%. C’è Verona, ma c’è soprattutto la mitica provincia, quella di Varese, in particolare, dove troviamo feudi che non lo sono più, come Gerenzano e Sumirago, dove la Lega perde dopo 20 e 17 anni di governo, rispettivamente. Dove troviamo culle che non lo sono più, come Cassano Magnago, che diede i natali all’Umberto, dove la Lega – secondo le proiezioni di On the Nord – non andrà al ballottaggio: primo il centrosinistra di Mauro Zaffaroni, che stacca di misura il PdL e che stacca in maniera decisa il Carroccio.  C’è Besozzo, del sindaco e senatore Fabio Rizzi (maroniano, non ricandidato), dove ha vinto una lista civica di centrosinistra. C’è Tradate, avviata anch’essa al ballottaggio, anche se in questo caso la Lega del sindaco Candiani (ex segretario provinciale, altro maroniano non ricandidato) rimane in corsa per il ballottaggio. Candiani non perde comunque l’occasione per scaricare le colpe sulla crisi della Lega: “i cittadini hanno dato la loro opinione riguardo ai kuli nudi e alle lauree in Albania, qualcuno ci dovrà riflettere”.

E c’è un’altra provincia, lontana, a Nordest. Vicenza. Sarego, per la precisione. 6.500 abitanti. Dove il Movimento 5 Stelle ha eletto il suo primo sindaco. Più di Genova, più di Parma, questo è il dato da portare a casa. Perché il fatto che sia successo in Veneto non è un caso, e coincidenza vuole che a Sarego, dal 2012, abbia sede il Parlamento padano. C’è anche Parma, certo, dove l’avanzata del M5S sembra coincidere con la frenata della Lega oltre il Po, proprio come fu Bologna l’anno scorso. E se torniamo a Verona, troviamo un Veneto Stato impalpabile, sotto lo 0,5%, quasi a dirci che non è l’indipendenza che si vuole, al Nord, ma le cose fatte bene. A confermare questa idea troviamo il risultato di un movimento giovane ma già ben strutturato, ProLombardia Indipendenza, il cui candidato sindaco a Gussago, in provincia di Brescia, ha ottenuto il 2,7%.

L’avanzata del Movimento 5 Stelle in Emilia Romagna è confermata dai risultati di altri comuni, oltre Parma. A Piacenza niente ballottaggio, ma 10% tondo tondo. A Budrio e Comacchio, invece, sarà ballottaggio con il centrosinistra, avendo raggiunto rispettivamente il 20% e il 21% delle preferenze. A Comacchio la lista dei grillini è addirittura la più votata. In tutte queste località la Lega Nord ha oscillato tra il 2% e il 6%, mentre il PdL va dal 4,5% di Parma al 21% di Piacenza. Interessante, dando uno sguardo ai risultati delle principali città, notare come il M5S non abbia assolutamente ottenuto gli stessi risultati in Toscana.

Un comune dell’alto milanese, dal valore fortemente simbolico per la Lega, offre altri spunti di riflessione sul risultato del movimento di Beppe Grillo. Si tratta di Legnano, dove il Carroccio – quello originale – sfila per le vie della città l’ultima domenica di maggio. Bene, il ballottaggio sarà tra centrodestra e centrosinistra, ma il 14% ottenuto dal candidato sindaco del Movimento ha scaraventato giù dal podio il candidato leghista, fermo al 10%. Da sottolineare, inoltre, che la lista dei grillini si sta giocando all’ultimo voto il primato di lista più votata della città.

Non molto lontano da Legnano, a Garbagnate Milanese, il M5S andrà al ballottaggio con il centrosinistra. Lo spread tra i due schieramenti è consistente (centrosinistra al 43% contro il 10,5% del Movimento 5 Stelle). Lega e PdL entrambi fermi all’8%.

E poi, a un certo punto, ho cliccato su Rapallo, scoprendo che il Partito Democratico difficilmente arriverà al 4%, in una coalizione dove SeL non tocca il 2%, così come FdS e una lista civica. Al ballottaggio andrà il centrodestra di Campodonico e una coalizione composta da alcune liste civiche, IdV e UdC, a sostegno di Costa. E questi sono solo tre dei sette candidati sindaco, per un totale di 21 liste. Ho quindi scoperto che alcuni tesserati PD sono stati espulsi dal PD perché hanno scelto di candidarsi con “Liguria Viva” (a sostegno di Costa), lista civica guidata da Ezio Chiesa, ex assessore regionale alle Infrastrutture del PD. Ho scoperto che è stata denunciata una falsa raccolta di firme a sostegno di una fantomatica lista del PD e che il sostegno di alcuni leader nazionali non ha portato benefici. Un discreto grado di confusione.

Bersani in conferenza stampa ha dichiarato: “nei voti di Grillo c’è una componente forte di protesta e credo che nei ballottaggi gli elettori potrebbero ripensare sul loro voto“. Mi permetto di esprimere forti dubbi.

Quel misto tra Bossi e Bossi

Da tempo abbozziamo paragoni tra la Lega a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 e il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. C’è una sottile linea rossa – o, forse, verde – che li collega, la stessa linea che porta all’astensionismo, che ha come parola d’ordine “partitocrazia”. Una frase pronunciata da Bossi durante un comizio, nel 1995, mi ronza nella testa da diverso tempo, quasi fosse la chiave del successo leghista e – potenzialmente – del successo grillino. E’ quella frase lì, delle baionette in canna, con le quali la Lega avanzerà, per snidare, anche al Sud – badate bene: “anche al Sud” – la partitocrazia. Le baionette, perché si è pronti a sfidare il nemico corpo a corpo. Un’organizzazione quasi militaresca. L’avanzata. E infine la partitocrazia, da snidare, al Sud ma anche al Nord, ovunque sia nascosta. Diciassette anni dopo, a Milano, Beppe Grillo chiedeva – azzardando un paragone storico del tutto fuori luogo – “una piccola Norimberga per i partiti”, per lo svolgimento della quale “si tirerà a sorte una giuria di cittadini incensurati e determineremo come farci ridare tutti i soldi che hanno rubato e come indirizzarli a qualche lavoro sociale”. Li snideremo sommariamente e anche con un po’ di violenza, in sostanza.

Ci sono altri punti di somiglianza, oltre al comune nemico di Lega old style e M5S. Provo a elencarne qualcuno:

  • Il presidio, il controllo dello spazio. Se la Lega piantava gazebo e scriveva sui muri, proponendosi di occupare il territorio, il M5S cerca di controllare un altro spazio: internet. Non dico che ci riesca, ma ci prova. Vi sarà certamente capitato di leggere chilometri di commenti a post o articoli nei quali si critica Beppe Grillo, per difendere il “movimento”. Ecco.
  • Inoltre, mantengono un forte legame, quasi esclusivo, con il loro spazio d’azione. “Le proposte sono sul blog”, e solo lì: a voce non le diciamo (come mostrato ieri da Servizio Pubblico). Ciò vuol dire che se vuoi discuterne dovrai andare sul blog, commentare ed essere affossato. Perché se il problema è la riforma del lavoro, va bene, ma c’è altro. Allo stesso modo, la Lega ha la capacità di imporre la propria agenda, anche quando è in difficoltà, e di svicolare quando potrebbe essere in pericolo: mentre il Partito Democratico si lacerava sull’articolo 18, la Lega non ha detto una parola. Agiscono esclusivamente dove hanno controllo totale dei mezzi a disposizione, perché c’è sempre altro.
  • Ovviamente siamo, in entrambi i casi, in presenza di un leader carismatico, con grandi capacità oratorie.
  • C’è uno strano rapporto con i partiti: essendo il loro principale nemico, dipingono se stessi non come “partito”, ma come “movimento”, dove “ognuno conta uno”. Tuttora esponenti di primo livello della Lega si ostinano a parlare di “movimento”, e per quanto riguarda i grillini, beh, non penso ci sia tempo da perdere. Ma l’aspetto curioso è che alla retorica del movimento si affianca una gestione interna leninista e un forte spirito di appartenenza: il movimento è sacro. Quanti espulsi dalla Lega si possono contare? Solo tra il 1988 e il 1995, stando alla ricostruzione della Lega, troviamo: Gremmo (giugno 1989), Rocchetta, Marin e Aliprandi (settembre 1994). E in questi tempi si andava ancora tutti d’accordo, c’era poca roba da spartire. La stessa cosa sta succedendo all’interno del M5S: ci si aspetta che un movimento sia “liquido”, ma non si possono organizzare incontri in maniera autonoma, secondo Beppe Grillo, che ha definito un incontro autoconvocato un paio di mesi fa a Rimini come “degno della migliore partitocrazia”. Successivamente è stato espulso dal “movimento” Valentino Tavolazzi, di Ferrara, e non si è ancora capito il perché.
  • Si dichiarano “né di destra né di sinistra”.
  • Il costante attacco ai giornalisti, “servi del potere” e parte del sistema da combattere – e qui si torna al web.
  • A entrambi non dispiacerebbe l’uscita dall’Euro e il ritorno alla Lira, con tutte le sue svalutazioni. Ora, qui il discorso si fa molto complicato, ma con una battuta vorrei dire che sembrano preferire una visione conservativa, museale e basata su un approccio al ribasso, piuttosto che la sfida di modificare quest’Europa.

A questo punto è possibile capire il perché di alcune uscite da parte di alcuni esponenti del centrosinistra – anzi: del Partito Democratico – e possiamo prevederne altre. Quindi, cos’ha detto e cosa dirà il Partito Democratico?

  • Dirà che il M5S è una costola della sinistra.
  • Dirà che Grillo è pazzo, lo prenderà in giro, cercherà di sbeffeggiarlo (“un misto tra Gabibbo e Bossi”, ha già sentenziato D’Alema).
  • A un certo punto tirerà in mezzo la Costituzione, perché Grillo è eversivo. E lo si combatterà sul terreno legalistico, invece che su quello politico. (Forse perché non si hanno risposte politiche?);
  • Accuserà Grillo di far vincere qualcun altro, di fare gli interessi di qualcun altro. Ricordate il Piemonte?
  • Cercherà, infine, di allearsi con Grillo, ricevendo in cambio un sonoro “vaffa”, da Grillo e dai suoi elettori. Suoi del Partito Democratico.

In sintesi, la dirigenza del Partito Democratico non capirà e non saprà interpretare – proprio come nei primi anni ’90 – i cambiamenti e non saprà capire i propri errori. E allo stesso modo, in ritardo e con fare goffo, cercherà un dialogo e un’alleanza “tra dirigenti”, non capendo che non bisogna rivolgersi né a Grillo né a Bossi, né, tantomeno, ai grillini e ai leghisti, ma bisogna prima di tutto non negare le problematiche che sollevano e, perciò, rivolgersi ai motivi. Essere conseguenti, infine, assumendo dei comportamenti appropriati. Facendo da esempio, sì.

Per non cadere nuovamente in questo errore, c’è bisogno di un forte ricambio della classe dirigente del Partito Democratico. Punto. E forse saremo ancora in tempo.