Chi ha vinto le amministrative (analisi di soli numeri, astenersi perditempo).

C’è chi parla di centrosinistra avanti in 16 capoluoghi e chi parla di flop del Movimento 5 Stelle. C’è anche chi parla di un Partito Democratico che, a Roma, è dimezzato. Pochi, forse nessuno, ha notato l’inesistenza di Scelta Civica e Montiani che, a livello locale, praticamente non si presentano da nessuna parte.

Alle numerose analisi che i più dotto editorialisti ci stanno proponendo in queste ore, dalle quali deducono la bocciatura dell’elettorato grillino all’operato dei loro portavoce in Parlamento, aggiungo la mia, preceduta da una considerazione: il voto alle amministrative è profondamente diverse rispetto al voto alle elezioni politiche e, per certi versi, più simile al voto alle elezioni regionali. Si vota il candidato, la scelta è secca, le conseguenze della mia scelta hanno ricadute molto prossime, sia fisicamente che politicamente. Alle elezioni amministrative, quello che viene chiamato  “voto di protesta” è fisiologicamente smorzato da questi fattori. Lo abbiamo visto benissimo in Lombardia, dove il 24 e 25 febbraio Silvana Carcano – candidata presidente del M5S – ha ottenuto 782mila voti, contro oltre 1.100mila ottenuti dal M5S, in Lombardia, alle Politiche.

A tutto ciò dobbiamo aggiungere un altro elemento: l’astensione. Rispetto al 24 e 25 febbraio è aumentata di diversi punti percentuali.

Muovendo da qui, ho considerato e paragonato i risultati delle regionali a Roma e a Brescia con quelli delle amministrative di questi giorni. I votanti sono diminuiti rispettivamente di 383mila unità (-23,5%) e di 20mila unità (-17,8%).

Guardando i voti espressi a Brescia e a Roma e paragonandoli con il voto delle regionali otteniamo:

VOTANTI CSX CDX M5S PD
Brescia -20089 -15080 -8300 -5405 -8404
Roma -383065 -202628 -27837 -167258 -158629

In termini percentuali otteniamo:

VOTANTI CSX CDX M5S PD
Brescia -17,8 -30,5 -19,5 -45,1 -28,3
Roma -23,5 -28,3 -7,1 -52,8 -37,2

Quel che è interessante notare è che tutti i principali schieramenti perdono voti, discostandosi in maniera quantitativamente differente rispetto all’astensione. Da notare che gli unici risultati “confortanti” sono quelli del centrodestra, che a Brescia registra un calo di voti in linea con l’astensione e a Roma è riuscito a neutralizzare l’astensione e ad andare in positivo.

Per misurare quanto si discostano dall’astensione ho semplicemente “spalmato” l’astensione registrata alle comunali sul voto delle regionali, e ho guardato quanto si discosta il risultato reale da questo risultato teorico al netto dell’astensione (spalmata grossolanamente su tutti gli schieramenti, ma diffidate anche di chi politicizza l’astensione).

Di seguito i risultati, in termini di voti assoluti e percentuali:

Scostamento dal risultato teorico al netto dell’astensione (assoluto).
CSX CDX M5S PD
Brescia -6277,4 -713,1 -3270,2 -3124,9
Roma -34521,2 64323,9 -92781,1 -58464,0

Scostamento dal risultato teorico al netto dell’astensione (percentuale).
CSX CDX M5S PD
Brescia -15,4 -2,0 -33,2 -12,8
Roma -6,3 21,4 -38,3 -17,9

A Roma, praticamente, ha vinto il centrodestra. E a Brescia ci è andato molto vicino.

Il calcolo è puramente matematico e ho esplicitato le condizioni di partenza, così come ho esplicitato che “spalmare” l’astensione può non essere politicamente corretto. Però, appunto, le considerazioni politiche le lascio ad altri.

Cosa non cambia con #MaroniAlNord

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Formigoni vs Maroni: segui il link a fondo pagina.

Ieri Roberto Maroni ha varato la nuova Giunta che guiderà la Regione Lombardia. Una prima novità riguarda il numero di assessori, diminuiti da 16 a 14. Ciò comporterà un risparmio? No: la scelta di nominare numerosi assessori esterni, che non ricoprono la carica di Consiglieri regionali, peserà sulle tasche dei lombardi circa 1,5 milioni di euro all’anno.

A parte ciò, quanto la nuova Giunta è in discontinuità con la precedente Giunta Formigoni? Ben poco. I risultati elettorali hanno ribaltato la situazione politica indicata dagli elettori nel 2010, anno in cui il peso del Popolo della Libertà all’interno della coalizione era maggioritario. Il rapporto tra PdL e Lega Nord, ai tempi, era 54,8 a 45,2. Il diverso peso elettorale si rifletteva – oltre che nell’espressione del Presidente della Regione – anche in una sorta di “premio di maggioranza” in Giunta: 64,2% di assessori di nomina PdL contro il 35,8% di assessori leghisti.

I risultati 2013 rovesciano la situazione: la Lega Nord, supportata dalla lista “Maroni Presidente”, diventa l’elemento dominante della coalizione, secondo un rapporto di 58 a 42. Tale risultato non è rispecchiato nella composizione della Giunta Maroni, nella quale il rapporto è di perfetta parità: 50 e 50. Non solo alla Lega non spetta alcun “premio di maggioranza”, ma neppure una composizione che rifletta il risultato delle liste di Lega e di Maroni.

Rimane, inoltre, un nodo sostanziale: quali assessorati cambiano colore? La Lega prende il Bilancio, la Sicurezza e la Cultura, ma rimangono nelle mani del Popolo delle Libertà assessorati strategici come quello alla Sanità – colpito dagli scandali, che pesa enormemente sul bilancio regionale e che vede una predominanza del settore privato – o quello alla Casa, guidato in passato da Zambetti, indagato per essere stato eletto con i voti della ‘ndrangheta, così come le Infrastrutture.

Tra l’altro, è sufficiente cercare Mario Mantovani, assessore con delega alla Sanità, su Wikipedia per averne un ritratto che solleva qualche perplessità in merito a potenziali conflitti d’interesse:

Nel 1996 apre la Fondazione Mantovani, di cui è direttore generale, specializzata nella costruzione e gestione di residenze sanitarie assistenziali per anziani. Con la nomina a sottosegretario nel 2008 lascia la presidenza della Fondazione Mantovani, lasciandone comunque la guida ai familiari.

Mantovani detiene la società Immobiliare Vigevanese, oltre alla Fondazione Mantovani. Con la prima costruisce residenze socio-assistenziali e con la seconda gestisce quattro Rsa in provincia di Milano che sommate a quelle guidate da Sodalitas, fanno undici strutture e 830 posti letto, tutti accreditati nelle graduatorie di regione Lombardia. Gestisce inoltre 13 centri diurni per disabili gestiti per conto dell’Asl di Milano 1.

I cambiamenti politici, in questa Giunta Maroni, sono davvero pochi. La continuità la fa da padrona, e il Popolo della Libertà continua ad avere salde le redini dei settori strategici della politica lombarda.

Qui il resto dell’infografica anticipata dall’immagine.

Consenso e preferenze

Il risultato di una lista è legato alle preferenze che i suoi candidati riescono a raccogliere? Il grafico qui sotto illustra quante preferenze ogni 100 voti sono state date alle recenti elezioni regionali della Lombardia:

Schermata 03-2456360 alle 18.09.43Esattamente. La Lega Nord in Lombardia raccoglie solamente 12 preferenze ogni 100 voti. Fa addirittura peggio la lista “Maroni Presidente”, che ne raccoglie 4,5. Se la cavano meglio PdL e PD, che raccolgono rispettivamente 16,3 e 16,2 preferenze ogni 100 voti. Questo per quanto riguarda i partiti più strutturati, che sono anche quelli che hanno raccolto il maggior numero di voti. Sorprende, ma non troppo, il tasso di preferenze delle liste più piccole e di alcune liste civiche. Impressionanti le 55,9 preferenze ogni 100 voti della lista “Etico a Sinistra”, guidata da Di Stefano, uno dei candidati alle primarie lombarde del centrosinistra. Seguono “Fratelli d’Italia”, “Tremonti – 3L”, “Centro popolare lombardo” e il PSI: tutte liste, compresa “Etico a Sinistra”, che ottengono risultati inferiori all’1,6%. In questi casi l’azione «porta a porta» potrebbe essere stata fondamentale.

Altro dato degno di nota è quello che riguarda il M5S, terza lista della Lombardia dietro a PD e PDL, ma con una quota di preferenze su voti espressi minima: solamente 3,3 preferenze ogni 100 voti.

Esiste una correlazione tra risultato elettorale e numero di preferenze espresse? Debole, ma negativa: -0,38. E negativa vuol dire che più voti si hanno, minori sono le preferenze, e viceversa, probabilmente perché entrano in gioco le conoscenze personali dei candidati che forniscono una base di partenza relativamente uguale per tutti. Nel caso del PD la correlazione negativa, sulla base dei dati delle province lombarde, si fa più forte: -0,50. Nel caso della Lega, invece, cambia segno: +0,16. E cresce ancor di più per il PdL: +0,56.

In tutta la Lombardia sono state espresse 13,2 preferenze ogni 100 voti alle liste. La provincia dove sono stati scritti relativamente più cognomi è quella di Sondrio (17,7%) seguita da Pavia (15,6%) e Brescia (15,5%). Sul versante opposto troviamo Monza e Brianza (9,6%), Varese (10,3%) e Lodi (10,9%). Milano è in linea con la media lombarda (13,8%).

[AGGIORNAMENTO]

Grazie al prezioso contributo di Valerio, possiamo servirci di due rappresentazioni grafiche dei dati sopra illustrati.

Nei grafici troviamo sull’asse delle ascisse il risultato elettorale di ciascuna lista, mentre sulle asse delle ordinate il numero di preferenze espresse ogni 100 voti. Le linee in grigio più spesse, al cui incrocio si trova l’UDC (sarà un caso?), rappresentano le mediane, che individuano quindi quattro quadranti: la mediana verticale dividerà, quindi, i partiti in base al risultato elettorale (grandi a destra, piccoli a sinsitra), mentre quella orizzontale li dividerà per percentuale di preferenze (molte preferenze sopra, poche preferenze sotto). La linea di tendenza (la retta inclinata verso il basso) mostra appunto la tendenza che, come nel caso della correlazione, è negativa.

Il primo grafico rappresenta i dati reali, il secondo in scala logaritmica:

Schermata 03-2456362 alle 12.49.30

Schermata 03-2456362 alle 12.25.51

In sostanza i numeri confermano ancora una volta l’esistenza di una tendenza delle piccole liste a raccogliere una quota relativamente maggiore di preferenze rispetto alle liste che ottengono i migliori risultati elettorali. Si discostano da questa tendenza la lista “Etico a Sinistra” (piccola, ma con “troppe” preferenze), la lista “Partito dei Pensionati” (piccolo e con pochissime preferenze) e le liste “Movimento 5 Stelle” e “Maroni Presidente” che raccolgono un numero di preferenze molto basso rispetto alle altre liste di dimensioni paragonabili.

Il voto per province al M5S

Nella mappa qui sotto trovate i risultati elettori del M5S alle recenti politiche, per ogni provincia italiana.

M5S_provincePossono essere fatte diverse osservazioni sulla distribuzione dei colori. A me ne sono venute in mente alcune:

  • Il voto al M5S può essere scomposto in zone omogenee, di dimensioni pressocché regionali. Riscontriamo, ad esempio, risultati eccellenti in Sicilia, nelle Marche e in Liguria. Risultati ottimi in Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Abruzzo, Molise e Lazio. Risultati mediocri in due regioni che nell’immaginario collettivo sono spesso percepite come molto distanti, ma che votano in maniera simile per il M5S: Lombardia e Campania.
  • Non esiste la «macroregione» nè, tantomento, la «macroregione a 5 Stelle». Il Nord non è un’entità omogenea e, anzi, il voto al M5S sembra superare la dicotomia tra il cosiddetto «piccolo nord», il nord-est, e il «grande nord», il nord-ovest, mostrando percentuali elettorali simili proprio in questi due territori. Percentuali che gradualmente calano quando si supera il confine lombardo, dove i risultati del M5S sono inferiori rispetto al resto d’Italia.
  • In Sicilia la sfumatura dei colori ha una componente quasi artistica. Da Messina il consenso dilaga verso sud-ovest.
  • La provincia di Bolzano è l’unica provincia in cui il M5S è (notevolmente) sotto al 15%.
  • La provincia di Parma, dove il capoluogo è amministrato dal M5S, è un’isola arancione nel mare giallo dell’Emilia Romagna. Al contrario, la provincia di Firenze è verde, diversamente dai territori circostanti.
  • Il M5S ottiene risultati apprezzabili sia in regioni tradizionalmente rosse che tradizionalmente bianche. E’ possibile che ciò sia dovuto alla capacità di «unire radicalità inconciliabili», (abolire i sindacati e istituire un reddito di cittadinanza, ad esempio) come scrive Dino Amenduni?

Il «sano realismo padano» va in Abruzzo

CARTOLINALAUREA

A quanto pare Roberto Maroni ha sostenuto l’esame di Stato da avvocato a L’Aquila, in perfetto Gelmini style. Una di quelle cose che suona subito strana, se si pensa alle innumerevoli battaglie sostenute dalla Lega, in questi anni, per la regionalizzazione dei concorsi pubblici: li ricordate, vero, gli insegnanti a chilometro zero?

«Il fatto di prevedere l’introduzione degli albi regionali in materia scolastica – dichiarava il Capogruppo della Lega Nord in Lombardia, Davide Boni -, va nella direzione di garantire maggiori competenze alle nostre regioni, cambiando un sistema assistenzialista che di fatto ha sempre visto la scuola come un vero e proprio parcheggio pubblico». Perché, d’altra parte, «per recuperare competitività – si legge sul sito della Lega -, la scuola deve poter contare su insegnanti con conoscenze specifiche di storia, cultura, valori ed economia del territorio». E che dire del mitico corteo del 26 gennaio 1999 organizzato a Lazzate per «difendere i concorsi pubblici padani»?

Un partito che da 25 anni si batte per l’indipendenza della «Padania», guidato da un segretario che non si è fatto troppi problemi nell’attraversare le acque del Po, per approdare in Abruzzo, quando era comodo. Già, l’Abruzzo, una «parte del Paese che non cambia mai», secondo l’Eurodeputato della Lega Mario Borghezio. «L’Abruzzo è un peso morto per noi come tutto il Sud. C’è bisogno di uno scatto di dignità degli abruzzesi. È sano realismo padano».

Ora si è capito in cosa consiste il «sano realismo padano».

Ma Maroni l’esame di Stato dove lo ha fatto?

Mi segnalano dalla provincia di Varese, terra natale del segretario della Lega, una notizia di quelle fulminanti.

Dopo la vicenda di Giannino, ecco il paladino del Nord che l’esame di Stato è andato a farlo al Sud (come la Gelmini).

Fonti:

Mio figlio amava soprattutto le materie letterarie, si portava il vocabolario al mare e se lo sfogliava sotto l’ombrellone. Avrebbe voluto fare il giornalista, poi ha preferito una professione più sicura, per questo si è laureato in Legge. Ha poi passato gli esami di procuratore a L’Aquila.

[tratto da Carlo Zanzi, Maroni l’arciere, Lativa 1994]

La biografia, concordata, la trovate su Google, in particolare qui.

Qualche anno più tardi si laurea e diventa avvocato, non prima di aver sostenuto l’esame di Stato a L’Aquila. Fa il praticante dall’avvocato Calligari di Varese e nel frattempo coltiva molti interessi. Per racimolare qualche quattrino si presenta a Il Giornale di Varese, dove chiede di collaborare; gli propongono una poco allettante corrispondenza da Lozza. Ma poi arriva Bossi e, come vedremo, inizia tutta un’altra storia.

[Tratto da Alessandro Madron, Maroni, Una vita da mediano, Editori Riuniti 2012]

Chissà se anche L’Aquila fa parte della fantomatica Macroregione del Nord, chissà.

P.S.: anche Umberto Ambrosoli è avvocato. L’esame di Stato l’ha sostenuto a Milano. In quell’occasione, conobbe sua moglie.

Pippo Civati

Cose che cambiano

ambrosolidi Viola Nicodano

Il leit motiv di questa ultima tornata elettorale doveva essere la voglia di cambiamento. Bene.

C’è un partito che ha cambiato, che si è rinnovato. C’è un partito che è stato modificato dai suoi elettori. Elettori che hanno preteso di poter esprimere una preferenza sui “papabili”, secondo il sistema delle primarie, anche senza dover essere iscritti al partito. Perché l’elettore di centrosinistra lombardo non avrebbe mai votato il “Penati bis” (ter, quater, quinquies…)! Perché per tre volte se l’è trovato candidato, e per tre volte ha lasciato perdere il governo locale…

C’è, così, un partito che oggi presenta volti nuovi. Volti di persone che arrivano dalla società civile: ma non seguendo la moda del momento, per davvero. Persone che, in questi anni, al loro lavoro quotidiano hanno affiancato l’impegno sociale e politico, attuando progetti spontanei di miglioramento delle condizioni sociali (documentati e verificabili). Persone che si candidano nella struttura di partito, è vero, ma solo perché la struttura è rimasta vuota ed è, oggi, in Lombardia, al loro servizio. Persone che per una volta non sono inglobate dal partito, ma inglobano il partito. Finalmente.

E’ con grande soddisfazione, quindi, che quest’anno andrò ad apporre la croce sul simbolo del Partito Democratico alle elezioni regionali.  E penso che i miei concittadini, visto che dicono di desiderare il cambiamento, dovrebbero essere onesti con loro stessi. Criticano le ideologie. Criticano i partiti. Dicono di non volere più ladri. E allora, questa volta, dovrebbero operare in maniera veramente democratica e coscienziosa. Dovrebbero rimanere coerenti ai loro pensieri sul declino dell’Italia. E dare il voto a chi 1) ha cambiato le persone, 2) ha innovato le idee, 3) propone una svolta vera.

Insomma, se volete il cambiamento, siate i primi a cambiare.

A coloro che si rifugiano dietro “l’esperienza” dei candidati antagonisti di Ambrosoli, chiedo: di che esperienza si parla? Esperienza nel malaffare? Nelle mazzette? Nelle spintarelle, nei trota e nelle igieniste che puntano al vitalizio a spese nostre? Bella esperienza, preferisco un novellino!

Altrimenti, se proprio non ce la fate, perché criticate l’ideologia ma siete i primi ad esserne pervasi, vi faccio una proposta. A Genova, i camalli portuali potevano scegliere tra due modalità di pagamento: una paga più alta, ma senza possibilità di lamentarsi; una paga più bassa, ma con il diritto al lamento. Ecco, se proprio volete, votate pure spinti da promesse (false) di rigonfiamento del portafoglio, come negli ultimi anni. Ma poi, dopo, non provate a lamentarvi!

Maroni e «le tante cose buone fatte da Formigoni»

formigoni_maroni01gUn nuovo capitolo della saga #2Maroni è stato scritto ieri dai protagonisti della politica lombarda degli ultimi tanti, troppi, anni. Ieri mattina, durante un’iniziativa organizzata per la campagna elettorale di Raffaele Cattaneo, alla presenza di Maroni e Formigoni, quest’ultimo ci ricordava che ci vuole «un pizzico di ragionamento» da parte dei «cittadini di Lombardia», perché le cose costruite in questi anni «sono a rischio».

Ci candidiamo perché «tutto quello che abbiamo visto possa continuare ad esistere», dice invece il già assessore regionale Raffaele Cattaneo, formigoniano e ciellino di ferro, che si candida a un posto di rilievo nel caso in cui Maroni dovesse vincere. Talmente formigoniano da aver appoggiato la candidatura di Albertini, organizzando un’iniziativa pubblica al Teatro Santuccio di Varese, a metà dicembre, per poi smentire il tutto, e dire che la realpolitik lo spingeva ad abbracciare Roberto Maroni (“il meno peggio”), sempre al Teatro Santuccio di Varese, una sera di metà gennaio.

Cattaneo, ieri mattina, diceva che si candidano perché «tutto quello che abbiamo visto possa continuare ad esistere» con di fianco Bobo Maroni. Sorridente e silenzioso. Maroni, però, ha subito aggiustato il tiro: «voglio governare la Lombardia per fare meglio di chi mi ha preceduto, ho questa ambizione, non sarà facile». Parti rovesciate: Cattaneo sorridente e silenzioso.

Così non va bene, Bobo, stai esagerando. Riprova.

«Voglio essere la continuazione delle tante, tante buone cose fatte da chi mi ha preceduto, in tutti questi anni». Bravo.

Quel che abbiamo visto, in questi anni, è una commistione tra politica ed affari – soprattutto nel campo sanitario – che premiava i conoscenti e non i meritevoli e competenti, che sotto lo smalto del «libero mercato», della «competizione tra privati», della «libertà di scelta», nascondeva un capitalismo fatto di ingranaggi da oliare. Abbiamo visto anche la Giunta della Regione Lombardia essere debitrice nei confronti della ‘ndrangheta. E forse è il caso di ricordare che è proprio per questo motivo che il 24 e 25 febbraio si voterà per eleggere il nuovo Presidente «di Lombardia» (si dice così, no?). E non serve neanche quel «pizzico di ragionamento» per capire che la Lombardia ha un fisiologico bisogno di interrompere la spirale recessiva Formigoni-Lega Nord, mettendo al vertice del programma di governo la legalità e il rispetto delle regole, per realizzare quelle condizioni necessarie perché la Lombardia torni a guidare l’Italia.

2Maroni

Maroni ha cambiato look. Si è tagliato i capelli, ha una montatura trendy, e ha detto che nella Lega hanno fatto pulizia. Peccato che non possa cancellare con un colpo di scopa anche il passato, e con esso la serie interminabile di promesse mancate e parole rimangiate dai leghisti. Insomma, pare proprio che ci siano due Maroni: quello che dice, e quello che poi non fa. Quello che sarà (o vorrebbe essere) e quello che è stato. Quello che ha governato con Bossi e Berlusconi e Tremonti e che si candida nuovamente a farlo. Quello che voleva andare da solo e invece porta con sé lo stesso Formigoni che aveva scaricato (entrambi avevano dichiarato di non volersi più frequentare, ora parlano, come dice Formigoni, di «continuità imbattibile»). Quello che doveva fare la rivoluzione e rivendica la buona amministrazione di una giunta che, nella dichiarazione successiva, si vanta di aver fatto cadere.

Il barbaro sognante che ogni tanto dovrebbe chiedersi: «sogno o son desto?». Perché pare che si sia addormentato, in tutti questi anni, dimenticandosi di essere al governo al fianco di chi non ha portato alcun giovamento al Nord e all’Italia: non ha abbassato le tasse (anzi), non ha migliorato i servizi, non ha semplificato la vita dei cittadini, non ha reso l’Italia più forte a livello europeo, anche perché l’Europa che oggi si invoca la si è sempre contrastata.

Ma prima di dare un’occhiata alle promesse leghiste cadute nel vuoto, nonostante siano stati al governo con Berlusconi nel 1994, dal 2001 al 2006 e poi dal 2008 alla fine del 2011 (con una saldissima maggioranza), è bene esaminare le nuove folgoranti proposte di Maroni, che quando non sono vaghe sono più semplicemente assurde. Il programma della Lega punta soprattutto su due mantra che Maroni ripete allo sfinimento, «Macroregione del Nord» e «trattenere il 75% delle tasse in Regione».

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