«La porcata di fine legislatura» e la questione della credibilità

Vito Crimi e Roberta Lombardi, capogruppo 5 Stella a Senato e Camera.

Vito Crimi e Roberta Lombardi, capogruppo 5 Stella a Senato e Camera.

Nella relazione dell’attività del Gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle di martedì 26 marzo, la capogruppo Roberta Lombardi ha attaccato duramente una parte della relazione del Governo sui pagamenti dei debiti della Pubblica Amministrazione nei confronti delle imprese. La Lombardi ha definito questa una «porcata di fine legislatura». Un’espressione colorita, che Beppe Grillo ha rilanciato sul suo blog, pubblicando la video-relazione e dando al post il titolo «porcata di fine legislatura», appunto.

Dario Di Vico ha notato l’azzardata dichiarazione della capogruppo grillina immediatamente, tanto che ieri, sul Corriere, scriveva:

Il tutto è avvenuto con un video di quattro minuti postato sul blog di Beppe Grillo nel quale Lombardi, più che dichiarare, in realtà recita. Ed è questo, infatti, il tratto saliente di parecchie delle sortite dei grillini nella fase iniziale della legislatura. Più che analizzare i problemi i neo-parlamentari troppo spesso recitano. Forse copiano Grillo, ma se il comico genovese ha dalla sua un’indiscussa e pluriennale professionalità scenica, i suoi replicanti francamente non lo valgono. Farebbero bene a restare “cittadini della porta accanto” e discutere i dossier nel merito. Nel caso in questione, poi, i Cinque Stelle partono da un attacco alle banche ma finiscono per opporsi a un provvedimento urgente atteso come il pane da quegli imprenditori ed artigiani che specie nel Nord Est li hanno votati copiosamente.

Ma più precisamente, di cosa si tratta? Per una spiegazione più tecnica della questione si è dovuto aspettare un post de La Voce nel quale Angelo Baglioni e Tito Boeri spiegano efficacemente perché le critiche avanzate da Lombardi sono del tutto infondate.

Le critiche si muovono sostanzialmente su due livelli:

  1. Una parte dei soldi stanziati dal provvedimento voluto dal Governo finiranno direttamente nelle tasche delle banche. Una «regalìa», la definisce Lombardi;
  2. Questo provvedimento, facendo salire il rapporto deficit/PIL al 2,9%, azzera le risorse da destinare alla crescita, non potendo sforare la soglia del 3%.

Le risposte sono, in realtà, molto semplici:

  1. Nella stessa nota letta da Lombardi c’è scritto che «una parte dei pagamenti alle imprese confluirà immediatamente al settore creditizio, in quanto una quota del portafoglio di debiti risulta già ceduto (pro solvendo o pro soluto) alle banche» e Baglioni e Boeri spiegano che si tratta di «rimborsare le banche perché i debiti della Pa di cui si parla sono in parte stati già ceduti dalle imprese alle banche. Ora, non si vede in nome di quale principio bisognerebbe penalizzare proprio quelle (poche) banche che hanno in (rarissime occasioni) accettato di anticipare alle imprese i loro crediti verso la pubblica amministrazione». E a quanto ammonterebbe questa cifra? A circa 3 milioni di euro, su un totale di 40 miliardi di provvedimento.
  2. Per quanto riguarda la soglia del 3%, «bisogna ricordare che la flessibilità concessa dalla UE è legata solo a interventi straordinari legati alla restituzione di debiti pregressi: non può essere utilizzata in altre (peraltro imprecisate) direzioni».

Le cose cambiano, quando si passa dall’attivismo da social network o da blog all’attivismo nelle Istituzioni. E forse è proprio il mito del «cittadino qualsiasi» nelle Istituzioni che non funziona, perché è inutile negarlo, ma spesso ci si trova di fronte a questioni complicate e, allo stesso tempo, potenzialmente distruttive. Bloccare tale provvedimento significherebbe negare una boccata d’ossigeno alle tante piccole imprese che anche il M5S cerca di rappresentare e che, delusi da Lega e PdL, spesso lo hanno votato. 

Ieri, nel colloquio tra Bersani e i rappresentanti del M5S, Crimi e Lombardi, questi ultimi hanno più volte ripetuto che il Governo 5 Stelle sarebbe un Governo della credibilità, perché i partiti non sarebbero più credibili. E se è innegabile che i partiti hanno perso una dose di credibilità, è altrettanto innegabile che la purezza di spirito e il semplice fatto di non avere esperienza non sono elementi che concorrono a formare la credibilità: la credibilità si acquisisce sul campo, proponendo soluzioni complesse a problemi complesse e prendendo i successivi, complessi, provvedimenti. Sventolare quintali di credibilità, anche alla luce di critiche superficiali e raffazzonate come quella di Lombardi, non avendo ancora avuto la possibilità di agire sul campo appare fuori luogo.

Si è aperta – da più di un mese, oramai – l’occasione storica di far coincidere la novità e l’esperienza. La novità di idee rappresentate dagli eletti 5 stelle ma anche i tanti nuovi eletti del Partito Democratico, associate anche a una dose di sano movimentismo. L’esperienza di chi queste cose le conosce perché ha già avuto a che farci. Sarebbe un peccato sprecarla, eppure.

#UnGovernoPerIlPaese

La piccola risposta di OntheNord al simpatico Beppe Grillo, che si diverte un sacco a trollare il Partito Democratico. E, in effetti, è sempre divertente trollare il Partito Democratico, non fosse altro che c’è un intero Paese che rischia di andare a sbattere:

easelly_visual (1)P.s. la battaglia metà parlamentari a metà prezzo è una battaglia che condivido da tempi non sospetti.

 

Il voto per province al M5S

Nella mappa qui sotto trovate i risultati elettori del M5S alle recenti politiche, per ogni provincia italiana.

M5S_provincePossono essere fatte diverse osservazioni sulla distribuzione dei colori. A me ne sono venute in mente alcune:

  • Il voto al M5S può essere scomposto in zone omogenee, di dimensioni pressocché regionali. Riscontriamo, ad esempio, risultati eccellenti in Sicilia, nelle Marche e in Liguria. Risultati ottimi in Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Abruzzo, Molise e Lazio. Risultati mediocri in due regioni che nell’immaginario collettivo sono spesso percepite come molto distanti, ma che votano in maniera simile per il M5S: Lombardia e Campania.
  • Non esiste la «macroregione» nè, tantomento, la «macroregione a 5 Stelle». Il Nord non è un’entità omogenea e, anzi, il voto al M5S sembra superare la dicotomia tra il cosiddetto «piccolo nord», il nord-est, e il «grande nord», il nord-ovest, mostrando percentuali elettorali simili proprio in questi due territori. Percentuali che gradualmente calano quando si supera il confine lombardo, dove i risultati del M5S sono inferiori rispetto al resto d’Italia.
  • In Sicilia la sfumatura dei colori ha una componente quasi artistica. Da Messina il consenso dilaga verso sud-ovest.
  • La provincia di Bolzano è l’unica provincia in cui il M5S è (notevolmente) sotto al 15%.
  • La provincia di Parma, dove il capoluogo è amministrato dal M5S, è un’isola arancione nel mare giallo dell’Emilia Romagna. Al contrario, la provincia di Firenze è verde, diversamente dai territori circostanti.
  • Il M5S ottiene risultati apprezzabili sia in regioni tradizionalmente rosse che tradizionalmente bianche. E’ possibile che ciò sia dovuto alla capacità di «unire radicalità inconciliabili», (abolire i sindacati e istituire un reddito di cittadinanza, ad esempio) come scrive Dino Amenduni?

Il più grande sbarco che la Sicilia ricordi

Dai diversi filmati, molti amatoriali, che girano sulla rete, possono essere ricavati alcuni messaggi lanciati ieri da Beppe Grillo, prima e dopo il suo sbarco in Sicilia. «Il terzo sbarco della storia della Sicilia», lo ha definito.

Il primo sbarco sarebbe stato quello di Garibaldi, che ha portato i Savoia e «i Savoia vi hanno ridotto così, Garibaldi».

Il secondo sbarco è stato quello degli americani, che con «Lucky Luciano hanno portato la mafia». Che poi Lucky fosse nato Salvatore Lucania, non interessa.

La Sicilia, inoltre, sta fallendo per il credito e non per il debito, «a differenza della Grecia», perché «lo Stato italiano deve un miliardo di euro alla Sicilia e gli imprenditori italiani devono prendere cinque miliardi dallo Stato italiano». La soluzione, quindi, è il ritorno al centralismo? «Questo non lo so. Ma il centralismo di chi, di questi?! Noi siamo come un bidone aspiratutto, come un autospurgo: aspiriamo questa classe politica per ricollocarla in posti più adeguati».

Il messaggio che passa è preciso: i problemi della Sicilia sono di origine esogena. Nascono da un’altra parte – dal Nord, dall’America, da Roma – e qualcuno ce li ha portati, sull’isola. Sarò banale, sarò scontato, ma questo tipo di retorica è fortemente territorialista, solletica gli umori più profondi perché individua chiaramente dei nemici, che sono, alla fine, i nemici di sempre, che già altri avevano individuato.

I Piemontesi, e in particolare i Savoia che – mannaggia a loro – hanno fatto questa «maledetta» Unità d’Italia: «Cavour era federalista, la promessa e l’impronta federalista sono state fondamentali nel percorso di unificazione del Paese. Senza questa premessa e senza questa impronta i Lombardi non ci sarebbero mai stati a finire sotto il Piemonte. Poi il re in qualche modo ha tradito perché ha imposto il centralismo. Oggi è arrivato il momento di riprendere quella promessa e mantenerla compiendo davvero la storia».

C’è poi Roma, che «vi ha ridotto così», e infatti non solo i siciliani, ma anche «tutti i milanesi sono stufi grazie al potere romano che ci ha imposto sistemi di vita che noi non vogliamo».

C’è poi l’invasione dei mafiosi. Che non vengono dall’America, ma dal sud Italia:

E infine c’è l’aspiratutto, che avanza con le sole proprie forze, a bracciate, sfidando le correnti partitocratiche, per rimuovere la classe politica tutta. Un po’ come con le baionette in canna: «la Lega avanzerà, baionette in canna, paese per paese, villaggio per villaggio – anche al Sud! – andremo a snidare la partitocrazia».

Ma quali maghi del web…

(Viaggio digitale nell’universo a 5 stelle)

Il MoVimento 5 Stelle è sicuramente l’argomento del momento e ci sono buone ragioni perché lo sia. Non sto ad analizzare i contenuti della loro proposta politica, per certi versi rivoluzionaria e condivisibile. Voglio invece affrontare il core business del loro sistema di comunicazione, cioè il web e come lo usano. È infatti opinione comune che il M5S utilizzi la rete al massimo della sua potenzialità, anzi, sovrappone di fatto il sistema con le persone che lo utilizzano. Uno dei libri di Grillo Davide Casaleggio, pubblicizzato ampiamente sul suo blog, si intitola infatti “Tu sei Rete”: gli attivisti stessi sono (dovrebbero) quindi essere gli strumenti di comunicazione del movimento, che avviene (avverrebbe) su Internet. Chiedo scusa per i condizionali tra parentesi, ma è per rimarcare la differenza tra la teoria e la realtà. La strategia però è chiara, ma è soprattutto rivoluzionaria e anticipatrice, perché in futuro funzionerà così per tutti.

Breve storia del M5S, così ci chiariamo un po’ le idee. Tutto nasce da una serie di eventi spontanei che porta alla nascita del movimento Amici di Beppe Grillo, che nel 2005, su invito dello stesso Grillo, si organizzano su scala territoriale utilizzando il social network americano MeetUp per tenersi in contatto tra loro e organizzare eventi. I vari gruppi territoriali prendono appunto il nome di MeetUp e saranno l’incubatore, di lì a qualche anno, del MoVimento 5 Stelle (la V maiuscola sta per Vaffanculo). Il nome non è farina del sacco di Grillo, ma dell’Associazione dei Comuni Virtuosi, che ogni anno assegna il premio nazionale “Comuni a 5 stelle” a quelle amministrazioni che si sono particolarmente distinte nella diffusione di nuove consapevolezze e stili di vita all’insegna della sostenibilità, sperimentando buone pratiche attraverso l’attuazione di progetti concreti, ed economicamente vantaggiosi, legati alla gestione del territorio, all’efficienza e al risparmio energetico, a nuovi stili di vita e alla partecipazione attiva dei cittadini (dallo Statuto dell’Associazione dei Comuni Virtuosi). Insomma, Grillo preleva un programma politico già fatto e lo trasporta nel M5S, poi elabora e deposita il marchio che da quel momento appartiene a lui. Attenzione, appartiene a lui e basta, non al movimento, questo vuol dire che tutti quelli che vogliono organizzare una lista civica ispirata ai principi del M5S devono avere la sua personale approvazione. È la base di un sistema politico verticistico senza paragoni in Italia e forse nel mondo, in cui è stimolata la partecipazione diretta dei cittadini per quanto riguarda la gestione territoriale locale, ma in cui le decisioni relative all’organizzazione interna del movimento vengono prese da una sola persona. Beh, diciamo due. Grillo e Casaleggio, il consulente aziendale e mago del web che da anni fa coppia fissa con Beppe Grillo, che gli organizza il blog e che ha avuto l’idea dei MeetUp e dello stesso M5S. Ci sarebbe qualcosina da dire sulle relazioni di Casaleggio con la grande industria delle multinazionali, ma per il momento lasciamo perdere. Torniamo invece a beppegrillo.com, il sito da cui è partito tutto, una vera corazzata e l’unico sito che può competere con i migliori blog (e non solo) internazionali per numero di accessi. Indubbiamente vengono trattati argomenti molto sentiti e questo non può che essere un suo merito. Il sito di Grillo, tra le altre cose, è anche l’organizzatore del movimento, ma soprattutto l’unico vero punto di riferimento dei suoi attivisti e dei suoi simpatizzanti. Il sistema quindi è verticistico e anche fortemente centralizzato, checché se ne dica.

Gran parte dei MeetUp aveva a suo tempo aperto i propri siti, che dall’ottobre 2009 in poi, con la nascita ufficiale del movimento, sono diventati i siti locali del M5S. Non tutti però, alcuni sono rimasti fermi al concetto di MeetUp, a volte per scelta, altri invece sono in paziente attesa dell’imprimatur concesso da sua santità Beppe Grillo, che prima di concederlo vuole essere sicuro che sia tutto in regola. Sto esagerando? A suo tempo venne fondato il MeetUp 533, che esiste ancora. Si tratta di un MeetUp riservato ai soli responsabili (chiamati organizer) dei MeetUp locali e che ha il compito di organizzarne le attività, possibilmente aiutandosi a vicenda. Non si sa bene quanto funzioni perché non è una cosa granché trasparente, anzi, all’inizio non era nemmeno accessibile. Comunque, giusto per rendere l’idea, il MeetUp 533 si era a un certo punto posto il problema di elaborare un regolamento generale dei MeetUp. Tra le varie proposte c’era anche quella di inserire l’articolo: solo chi giura fedeltà a Beppe può iscriversi al MeetUp. Solo chi giura fedeltà. La cosa non ha avuto seguito, i MeetUp locali rimangono delle isole autogestite con molte luci e qualche ombra, ma la vicenda è comunque inquietante. Di quali ombre sto parlando? Lascio la parola a Nicoletta Selis, a lungo organizer grillina: Io faccio parte di uno di questi MeetUp Amici di Beppe Grillo. Avendo fatto attività politica in un piccolo partito e credendo moltissimo nell’ambientalismo, nella giustizia e nella legalità ho pensato fosse un modo per riavvicinarmi alla politica nell’ottica del movimento. La cosa strana però è che per far parte di un MeetUp di Grillo bisogna pagare una quota mensile. A pensarci, anche in un partito o in un’associazione si paga una tessera. Ma qui è una quota mensile, neanche piccola. In nome degli ideali grilleschi in cui ci identifichiamo, l’abbiamo sopportato, ma è stato l’inizio di una serie di elementi che nel tempo sono emersi e ci fanno essere sempre più critici nei confronti del nostro amico Grillo. Nei MeetUp si iscrivono tantissime persone e dietro un nick name rigorosamente protetto puoi scrivere valanghe di post e non fare alcuna attività concreta. È il bello di internet che impegna ore del tuo tempo a scrivere per animare un gruppo dove il tasso di attivisti è bassissimo, e in alcuni casi inesistente. Lo sport preferito sembra essere quello di litigare e parlar male degli altri, e per decidere dove e quando incontrarsi si impiegano decine di post. Nei MeetUp non esistono regole di democrazia interna, ha ragione chi paga, perché pagando si diventa Organizer, ossia responsabile del gruppo. Poco importa se gli altri non sono d’accordo e se non vieni eletto. Da quel momento puoi decidere tutto, cancellare membri, e post indesiderati. [Fonte]

I siti locali del movimento servono quindi a organizzare gli attivisti, ma non servono come riferimento per i simpatizzanti. Volete una prova? Il 3 luglio ho fatto una “fotografia” della presenza sul web del M5S e ho scoperto, con mia sorpresa, l’arretratezza del movimento su questo tema. Esiste un sito nazionale (che dipende, come anche tutti quelli locali, dal sito di Beppe Grillo) che ospita un forum di discussioni e poco altro. Poi ci sono i siti regionali. Più o meno. Liguria, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche, Lazio, Puglia, Sicilia e Sardegna non hanno un sito regionale. La Calabria è ferma al MeetUp regionale. In quello della Toscana non è postato niente (c’è un video del 2011), mentre quello della Valle d’Aosta è aggiornato al dicembre del 2010. Negli altri la frequenza degli aggiornamenti e dei nuovi post è settimanale o peggio, in pochi casi (Emilia Romagna, Abruzzo, Molise e Campania) la frequenza è più serrata. Il sito della Lombardia invece lavora “a progetto”. Al momento insistono sulle dimissioni di Formigoni, da buoni ultimi rispetto a tutte le altre forze politiche di opposizione. Non ho proseguito per andare a vedere i siti provinciali ma mi riprometto di farlo.

Su Facebook le cose non vanno tanto meglio. Ci sono alcune pagine dedicate alle organizzazioni regionali, che hanno dai 28 like del Veneto ai 1689 della Lombardia, e alcuni gruppi che vanno dagli 11 iscritti della Campania agli 822 delle Marche. La pagina nazionale conta invece 25245 like. Sono, complessivamente, numeri ridicoli, e lo sono ancora di più se pensiamo che il movimento ha sfiorato il 20% dei consensi su scala nazionale, che equivale a milioni di persone che voterebbero M5S alle prossime elezioni. Dove si trovano quindi queste persone? Di certo non sul web, dove invece, secondo quello che ci dicono, avremmo dovuti trovarli. Ai vari forum, sia nazionali che locali, partecipano invece più o meno le stesse persone, che di fatto si parlano tra di loro e si dicono le stesse cose. Non vale dire che gli attivisti sono pochi ma quello che conta sono i simpatizzanti/elettori, perché uno dei punti fermi del movimento, una delle 5 stelle, è proprio la democrazia partecipativa, concetto che a me piace da impazzire. Senza partecipazione il movimento cessa di essere quello che vuole essere e diventa un partito come tutti gli altri, fallendo quindi nel suo intento.

Ma torniamo al web perché voglio concludere con una chicca, regalata ancora dal MeetUp 533. Un ragazzo chiede il motivo per cui il suo sito non aveva ancora avuto la certificazione e Carlo Cardarelli, uno dei responsabili, il 6 maggio 2012 risponde così: La cosa credo dipenda esclusivamente da “Casaleggio & Associati” che cura il sito di Beppe. Comunque, prova ad inviare la richiesta tramite posta ordinaria a Beppe Grillo – Casella Postale 1757, 20121 Milano.

Posta ordinaria! Non ci posso credere. Sarebbero questi i maghi del web?

Quella linea sottile che congiunge Parma e Comacchio

Chi legge On the Nord ricorderà certamente la mia insistenza sul voto al Movimento 5 Stelle, due settimane fa.

comuni a 5 stelle stanno tutti lì, in un quadrilatero a cavallo del Po, tra Emilia Romagna e Veneto. Più padani dei vecchi padani, non scendono dalle montagne e dalle vallate prealpine, sono già lì.

Tra Sarego (vittoria al primo turno), Parma, Mira e Comacchio ho scelto quest’ultimo, situato nella bassa, terra umida e afosa. Ci soffermeremo solo alla fine, velocemente, su Parma.

Se tiriamo una linea, da ovest verso est, congiungendo Comacchio e Parma, nel mezzo troveremo prima Bondeno e poi Guastalla. Quest’ultima, una cittadina di 15mila abitanti “dove si parla un dialetto già macchiato di mantovano”*, è una di quelle roccaforti dove la sinistra ha perso nel giugno 2009 per la prima volta dal dopoguerra. Vinceva Giorgio Benaglia, supportato da Lega Nord, PdL e UdC e il M5S, ai tempi, prendeva già il 6% (al momento del voto Guastalla non raggiungeva di un soffio i 15mila abitanti, perciò niente ballottaggio). Bondeno, invece, è la prima cittadina al di sopra dei 15mila abitanti ad eleggere un sindaco leghista in Emilia. Anche in questo caso era il 2009 e anche in questo caso la tradizione rossa era certificata, tanto che possono essere ammirati “alle pareti lungo il corridoio del municipio quadri del Cremlino, souvenir dei vecchi viaggi d’amicizia italosovietica”*. Siamo a pochi chilometri da Viadana, che sorge, però, sull’altra sponda del Po, quella Lombarda. E’ a Viadana che ebbe sede il primo Parlamento padano.

Poi c’è Parma, e poco oltre Busseto. 7000 abitanti, patria di Giuseppe Verdi, uno dei pochissimi comuni a Sud del Po che nel 1992 fu conquistato dalla Lega. Forse è cominciato tutto da qui, da Busseto, nel 1992. Forse non era la Lega, forse non era nemmeno la secessione e il Parlamento padano era un feticcio. La strada, però, sarebbe continuata, fino a Comacchio.

Busseto, Parma, Guastalla, Bondeno e Comacchio.

A Comacchio, nel 2000, vinse il centrosinistra al primo turno, con il 53,9%, voti che incrementarono nel 2005 fino al 60,4%. Nel 2010 la prima incertezza: vince il centrodestra, al secondo turno. La legislatura si conclude dopo pochi mesi: a fine 2011 si insedia il commissario prefettizio.

Il resto è storia recentissima, che però merita un approfondimento. Il primo turno delle amministrative appena concluse vede in vantaggio una coalizione composta da PD, UdC e due liste civiche. La coalizione ottiene 4.075 voti (36,5%). Il M5S va al ballottaggio avendo ottenuto 2.489 voti (22,3%). Il totale dei voti validi sarà pari a 11.170 voti.

Se ai 11.170 voti totali del primo turno sottraiamo i voti ottenuti dal centro(centro)sinistra otteniamo 7.095. Questo avrebbe potuto essere il risultato ottimale per il M5S, se fosse riuscito a confermare tutti i suoi voti e, inoltre, a guadagnare il voto di tutti gli altri elettori che non avevano votato il centro(centro)sinistra al primo turno. Bene, il M5S, al secondo turno, ha ottenuto 7.663 voti: più del suo potenziale teorico stimato sulla base del primo turno. Un risultato straordinario.

Per quanto riguarda Parma, ParmaSera rileva alcuni dati molto interessanti sulle singole sezioni:

Nessun quartiere vinto, né “pareggiato” con almeno il 50% dei voti. E’ uno dei tanti dati emblematici di questo ballottaggio. Un numero su tutti: 46,26% per Bernazzoli contro il 53,74%. Dove? Al Montanara, da sempre bastione rosso della città. […] Questo, comunque, resta il risultato migliore di Bernazzoli nell’analisi del voto suddivisa per quartieri. E’ pur vero che Pizzarotti sbanca nei quartieri tradizionalmente più a destra: 67,91% contro 32,09% nel Parma Centro, 61,49% contro 38,51% al Cittadella. […] Più contenuto, ma sempre dilagante, il successo di Pizzarotti in altri quartieri storici della sinistra. Molinetto: 57,79% contro il 42,21%; Oltretorrente: 57,35% contro 42,65%; Pablo: 54,98% contro 45,02%.

E le dinamiche tra primo e secondo turno, come fa notare Non una cosa seria, sono molto simili a quelle di Comacchio.

Ora, se volete possiamo dare un peso a queste cose, oppure possiamo dire che il M5S è robaccia di destra. Ah, no, scusate, lo abbiamo già fatto:

Io rispetto sempre gli elettori per cui auguro al sindaco di Parma di fare benissimo, ma se il centrodestra va a votare per Grillo qui c’è la confusione massima. Nessuno mi dica che questo è il cambiamento.

Rosy Bindi, presidente PD

L’analisi del voto su Parma deve tenere conto del fatto che non si tratta di una città qualunque, ma un capoluogo dove ha sempre vinto il centrodestra, mentre il centrosinistra è sempre stato all’opposizione. Vuol dire che l’elettorato del centrodestra ha preferito il candidato grillino ed è una scelta che deve far riflettere non solo noi ma soprattutto il centrodestra che non è andato nemmeno al ballottaggio.

Enrico Letta, vicesegretario PD

*Avanti Po, Paolo Stefanini, Il Saggiatore, Milano, 2010.

Questo non è un post sul M5S

E’ un post sull’astensione. Forse.

Siccome l’argomento è molto interessante, faremo un rapidissimo strappo alla regola. Avete capito bene, ancora Movimento 5 Stelle.

Nel post precedente avevo accennato al fatto che non sembrava ci fosse particolare evidenza di un qualche effetto positivo sull’affluenza alle urne (per positivo intendo quindi una maggiore affluenza) dato dalla possibilità di mettere una croce sul simbolo grillino.

Ho ripreso in mano i dati e ho cercato campioni che potessero essere significativi e coerenti tra di loro. Mi sono quindi rivolto alle regioni nelle quali si sono presentate più liste M5S, cioè Veneto, Lombardia e Piemonte, utilizzando le categorie dimensionali individuate nel post precedente, ovviamente quelle più ampie ed “equilibrate” (non i Comuni micro, per dire, dove si è presentata una lista M5S in meno di un comune su cento). I risultati sono i seguenti.

Per quanto riguarda il Veneto ho preso come riferimento i comuni con abitanti compresi tra 5.000 e 14.999, in totale 39: in 12 di questi c’era un candidato grillino. Rispetto alle precedenti amministrative, nei comuni senza candidato grillino l’affluenza alle urne è diminuita del 10,2%, mentre nei comuni dove si poteva votare un candidato grillino è diminuita del 10,5%. E ricordiamo che il risultato medio del M5S in questi comuni è stato del 15%.

Per il Piemonte, stessa categoria di comuni: 14 in totale di cui 4 con candidato grillino. Paradossalmente, nei comuni dove non si presentava il M5S la partecipazione al voto è diminuita del 6,5%, mentre in quelli dove si presentava è diminuita dell’8,6%. Risultato medio dei grillini in questa categoria pari a 16,4%.

Infine, per la Lombardia ho considerato i comuni medio-grandi, 26, di cui 11 con lista grillina. Non ho scelto i comuni medi, come per Veneto e Piemonte, perché solamente in uno su 39 di questi c’era un candidato M5S. Anche in questo caso, il risultato è il medesimo. Dove non c’era la possibilità di votare il Movimento l’astensione è aumentata dell’11,8%, dove questa possibilità c’era del 12,2%. Risultato medio pari all’8,9%.

Con tutti i limiti imposti da un campione limitato come quello preso in considerazione (ma che d’altra parte è l’unico possibile), con tutti i limiti delle elezioni amministrative, con tutti i limiti della statistica e con tutti i limiti miei, a me non sembra che il Movimento 5 Stelle riesca a recuperare l’astensionismo. I flussi di voto, come dicevo nel post precedente, dovrebbero essere interni alle parti politiche. Ed è anche difficile ipotizzare che vi sia stato una sorta di ricambio: nuovi astensionisti che escono e vecchi astensionisti che tornano a votare M5S, perché le percentuali sono troppo simili. Avendo i grillini ottenuto risultati piuttosto sostanziosi, se questi fossero stati determinati dal ritorno al voto dei vecchi astensionisti, dove il M5S non era presente il mancato ritorno al voto della stessa categoria avrebbero pesato notevolmente sull’affluenza.

La nuova secessione del NordEst

Ieri abbiamo detto del successo del Movimento 5 Stelle in Emilia Romagna, dove sembra aver bloccato – o essersi sostituito – l’avanzata dell’onda verde del Po, e in Veneto, con la conquista del primo Consiglio comunale, quello di Sarego.

In Veneto, Sarego non è un caso isolato. Le terre della secessione leggera lanciano, venti anni dopo, ancora una volta messaggi inequivocabili, di insofferenza. Messaggi pacifici ma comunque determinati e fermi, contro il sistema. Che se nel 1997 si faceva irruzione in piazza San Marco con il tanko, quindici anni dopo, forse, è sufficiente un vaffa, non in piazza, ma mormorato a denti stretti nella cabina elettorale della scuola elementare di Vigonza (21%) o di San Giovanni Lupatoto (15%), o di un altro dei molti centri di medie dimensioni dove il messaggio di Beppe Grillo ha sfondato. Contro il sistema, contro i partiti corrotti e contro lo Stato corrotto. A Conselve (27%), a Thiene (18%), a Rosà (16%), a Marcon (19%), a Mira (18%), a Mirano (19%), a Santa Maria di Sala (16%). Ma anche a Belluno (11%), a Feltre (10%) e, perché no, anche a Verona (9%), considerando lo strapotere di Tosi. In quasi tutti i casi prima della Lega, e sempre prima del partito indipendentista più quotato, Veneto Stato.

Per farsi un’idea geografica, può essere utile seguire il Beppe Grillo Tour (elettorale) 2012; nella mappa qui sotto (che vi consiglio di guardare allargata) ho riportato tutte le tappe.

In primo luogo, non sono state toccate tutte le regioni italiane e alcune sono state toccate solamente en passant. In secondo luogo, possiamo notare una particolare concentrazione di tappe nel nord Italia, più precisamente nella fascia pedemontana, e una densità notevole proprio in Veneto. Evidentemente, avendo a disposizione una quantità limitata di energie, Beppe Grillo ha deciso di investirle così, riscuotendo un grande successo a Est, ma solamente buoni risultati a Ovest. Facendo un giro in Piemonte, infatti, troviamo 16% a Grugliasco, 13% a Caselle Torinese, 12% ad Alessandria e Acqui Terme, 11% a Chivasso, 8% (circa) ad Asti, Cuneo, Mondovì, Borgomanero. Ottimi risultati, ma lontani diversi punti percentuali dal Veneto.

E’ questa la nuova secessione del nordest, ancor più leggera e delicata, perché rinuncia alle fratture territoriali. E c’è un filo ingarbugliato, da Parma a Belluno, che sfuma dal rosso al verde. E a capo del filo, a sciogliere il gomitolo e a raccogliere il consenso, un movimento con poca esperienza, autofinanziato, che ora mira al bersaglio grosso: le politiche. Dando risposte a istanze che toccano dal vivo i cittadini, dalla preservazione dei beni comuni a uno Stato che sia più trasparente ed efficiente, soprattutto nei rapporti che intrattiene con i partiti (ci sono anche cose un po’ buttate lì, come una sragionata uscita dall’Euro). Sono quelle cose che in passato abbiamo confuso con il “radicamento territoriale” e con i gazebo, e che ora rischiamo di confondere con i blog e l’indignazione da social network. Ed erano allora voti-costola-della-sinistra e ora voti-che-al-ballottaggio-rientreranno, dimenticandosi delle regionali in Piemonte, ad esempio, e dimenticandosi che ciò che manca sono le semplicissime azioni esemplari e i nuovi interpreti, prima di qualsiasi calcolo strategico.

E’ ancora tutto in divenire

Perché forse, come in Francia, stiamo aspettando le 20. Di conseguenza, questo post verrà aggiornato. Qualche considerazione, però, possiamo cominciare a farla.

Il PdL è scomparso.

E anche la Lega Nord non se la passa troppo bene. Perché c’è Verona, con Tosi tra il 55% e il 60%, ma con circa il 40% dei voti raccolti dalla lista civica “Per Verona”, mentre la Lega non arriva al 10%. C’è Verona, ma c’è soprattutto la mitica provincia, quella di Varese, in particolare, dove troviamo feudi che non lo sono più, come Gerenzano e Sumirago, dove la Lega perde dopo 20 e 17 anni di governo, rispettivamente. Dove troviamo culle che non lo sono più, come Cassano Magnago, che diede i natali all’Umberto, dove la Lega – secondo le proiezioni di On the Nord – non andrà al ballottaggio: primo il centrosinistra di Mauro Zaffaroni, che stacca di misura il PdL e che stacca in maniera decisa il Carroccio.  C’è Besozzo, del sindaco e senatore Fabio Rizzi (maroniano, non ricandidato), dove ha vinto una lista civica di centrosinistra. C’è Tradate, avviata anch’essa al ballottaggio, anche se in questo caso la Lega del sindaco Candiani (ex segretario provinciale, altro maroniano non ricandidato) rimane in corsa per il ballottaggio. Candiani non perde comunque l’occasione per scaricare le colpe sulla crisi della Lega: “i cittadini hanno dato la loro opinione riguardo ai kuli nudi e alle lauree in Albania, qualcuno ci dovrà riflettere”.

E c’è un’altra provincia, lontana, a Nordest. Vicenza. Sarego, per la precisione. 6.500 abitanti. Dove il Movimento 5 Stelle ha eletto il suo primo sindaco. Più di Genova, più di Parma, questo è il dato da portare a casa. Perché il fatto che sia successo in Veneto non è un caso, e coincidenza vuole che a Sarego, dal 2012, abbia sede il Parlamento padano. C’è anche Parma, certo, dove l’avanzata del M5S sembra coincidere con la frenata della Lega oltre il Po, proprio come fu Bologna l’anno scorso. E se torniamo a Verona, troviamo un Veneto Stato impalpabile, sotto lo 0,5%, quasi a dirci che non è l’indipendenza che si vuole, al Nord, ma le cose fatte bene. A confermare questa idea troviamo il risultato di un movimento giovane ma già ben strutturato, ProLombardia Indipendenza, il cui candidato sindaco a Gussago, in provincia di Brescia, ha ottenuto il 2,7%.

L’avanzata del Movimento 5 Stelle in Emilia Romagna è confermata dai risultati di altri comuni, oltre Parma. A Piacenza niente ballottaggio, ma 10% tondo tondo. A Budrio e Comacchio, invece, sarà ballottaggio con il centrosinistra, avendo raggiunto rispettivamente il 20% e il 21% delle preferenze. A Comacchio la lista dei grillini è addirittura la più votata. In tutte queste località la Lega Nord ha oscillato tra il 2% e il 6%, mentre il PdL va dal 4,5% di Parma al 21% di Piacenza. Interessante, dando uno sguardo ai risultati delle principali città, notare come il M5S non abbia assolutamente ottenuto gli stessi risultati in Toscana.

Un comune dell’alto milanese, dal valore fortemente simbolico per la Lega, offre altri spunti di riflessione sul risultato del movimento di Beppe Grillo. Si tratta di Legnano, dove il Carroccio – quello originale – sfila per le vie della città l’ultima domenica di maggio. Bene, il ballottaggio sarà tra centrodestra e centrosinistra, ma il 14% ottenuto dal candidato sindaco del Movimento ha scaraventato giù dal podio il candidato leghista, fermo al 10%. Da sottolineare, inoltre, che la lista dei grillini si sta giocando all’ultimo voto il primato di lista più votata della città.

Non molto lontano da Legnano, a Garbagnate Milanese, il M5S andrà al ballottaggio con il centrosinistra. Lo spread tra i due schieramenti è consistente (centrosinistra al 43% contro il 10,5% del Movimento 5 Stelle). Lega e PdL entrambi fermi all’8%.

E poi, a un certo punto, ho cliccato su Rapallo, scoprendo che il Partito Democratico difficilmente arriverà al 4%, in una coalizione dove SeL non tocca il 2%, così come FdS e una lista civica. Al ballottaggio andrà il centrodestra di Campodonico e una coalizione composta da alcune liste civiche, IdV e UdC, a sostegno di Costa. E questi sono solo tre dei sette candidati sindaco, per un totale di 21 liste. Ho quindi scoperto che alcuni tesserati PD sono stati espulsi dal PD perché hanno scelto di candidarsi con “Liguria Viva” (a sostegno di Costa), lista civica guidata da Ezio Chiesa, ex assessore regionale alle Infrastrutture del PD. Ho scoperto che è stata denunciata una falsa raccolta di firme a sostegno di una fantomatica lista del PD e che il sostegno di alcuni leader nazionali non ha portato benefici. Un discreto grado di confusione.

Bersani in conferenza stampa ha dichiarato: “nei voti di Grillo c’è una componente forte di protesta e credo che nei ballottaggi gli elettori potrebbero ripensare sul loro voto“. Mi permetto di esprimere forti dubbi.