Passaggio a Nord-Est (30) – Grecale

[…] La mia impressione, basata sugli atti fin qui compiuti, è che il governo abbia una visione del problema della crescita non molto dissimile da quella dei governi che lo hanno preceduto. […] la «cultura della crescita» che questo governo esprime a me pare, mi si perdoni la crudezza, terribilmente vecchia e inadeguata alla drammaticità del momento. Perché vecchia? Vecchia, innanzitutto, perché persevera sul sentiero, battuto fin qui da tutti i governi di destra e di sinistra, della prima e della seconda Repubblica, di affrontare i problemi di bilancio con maggiori tasse anziché con minori spese. […] Nella cultura di questo governo continua ad albergare la credenza che il problema centrale delle imprese sia poter licenziare, mentre la realtà è che il loro problema numero uno è un semplice, brutale, concretissimo problema di costi: tasse, contributi sociali, prezzi dell’energia, ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione.
Ma è vecchia, la cultura di questo governo, anche per la mentalità con cui affronta chi osa non allinearsi al clima di venerazione e gratitudine da cui è circondato. […] Oggi il rischio è che questo governo si senta così necessario, così migliore dei governi che l’hanno preceduto, così privo di alternative, da non capire che il fatto di non avere alternative non rende per ciò stesso buone le sue politiche. Che tali politiche siano buone o no lo vedremo alla fine, quando si saprà se il piccolo, prudentissimo cabotaggio di questi mesi sarà stato sufficiente a salvarci da un destino come quello della Grecia. Sono il primo a sperare che basti, ma – fin qui – non vedo solidi argomenti per crederlo.

Luca Ricolfi, da laStampa di oggi.

10 pensieri su “Passaggio a Nord-Est (30) – Grecale

  1. ciao,
    scusa la crudezza crudele, devo dirti che mi sono fermato alla settima riga; perchè finchè mescoleremo capre e cavoli,non si farà altro che aggiungere confusione a confusione.
    E’ il miglior modo di fare surplace, di sparare a palle incatenate su tutto e tutti.
    Di non sapere, forse volere, cogliere le differenze al netto delle ideologie.
    Eppure negli ultimi 8 anni di un secolo fa, alcuni, pochi hanno avuto la capacità di tirarci fuori dalla solitudine nella quale l’Italia stava sprofondando.Mi riferisco a Ciampi ed ai leader sindacali di allora e parte,piccola parte degli industriali; mi riferisco a Prodi e alla leadership con la quale siamo entrati a far parte del primo gruppo dell’euro.
    Ma siamo noti per aver la memoria corta, sopratutto verso coloro ai quali la virtù è invisa e per i quali qualsiasi Cesare è da assassinare.(politicamente)In fin dei conti è Cesare che ha suscitato lo spirito assassino.O no?
    E’ passato un secolo. Come ricordarcene.
    Cordialmente.
    Angelo D’anna
    Bologna

    • Ciao,
      mi permetto di farti presente che tutto il processo di compattamento (vero o fasullo) dei conti pubblici dello Stato italiano, per entrare a far parte del progetto Euro e assimilati, è stato “cucinato” a spese delle Regioni padane (nello specifico: Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna).
      In parole povere: il biglietto d’ingresso per l’Europa che conta l’abbiamo pagato noi anche per il Lazio-Mezzogiorno.
      Se vuoi approfondire la questione nella sua generalità e strutturalità, andando oltre la contingenza dell’ingresso in Europa, ti invito a leggere il saggio “Il sacco del Nord”, proprio di Ricolfi.

      A margine, non mi pare che l’ingresso nell’Euro sia stato foriero di vantaggi inequivocabilmente superiori ai potenziali svantaggi che sarebbero derivati dallo starne fuori. Ecco, come dire, mi pare che l’Euro sia stato visto come un dogma religioso. Come un’ideologia, ecco. Son passati dieci anni, è tempo di analizzare meglio le scelte fatte, alla luce dei dati odierni, che disegnano un’Europa in preda al panico. Non esattamente una storia di successo.

      Cordialmente,
      Alex, Milano

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